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mercoledì 3 gennaio 2018

Fermare il consumo del suolo, tassare la rendita (Idee per un programma condiviso)

Il consumo di suolo in Italia è al 7%, la media europea al 4,3%, Veneto e Lombardia superano il 12%.
“L’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di degrado del suolo in Europa, in quanto comporta un rischio accresciuto di inondazioni, contribuisce ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità, provoca la perdita di terreni agricoli fertili e aree naturali, contribuisce insieme allo sprawl urbano, alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto rurale” (Commissione Europea 2012). “Le funzioni produttive dei suoli sono, pertanto, inevitabilmente perse, così come la loro possibilità di assorbire CO2, di fornire supporto e sostentamento per la componente biotica dell’ecosistema, di garantire la biodiversità e la fruizione sociale” (rapporto ISPRA 2017).
Ogni anno in Europa è stimato che un’area pari a circa 1.000 km2, più o meno equivalente alla superficie di una città come Berlino, viene definitivamente persa in seguito alla costruzione di nuove infrastrutture e reti viarie (Commissione Europea, 2011).
Nella colpevole assenza di una Legge Nazionale (quella approvata dalla Camera è un abominio che molte Regioni hanno già preso come riferimento) la maggior parte delle Leggi Regionali favoriscono il consumo di suolo indirizzandolo verso i centri urbani, dove l’impermeabilizzazione del terreno crea, anche in presenza di precipitazioni meteoriche non eccezionali, gravi danni a persone e cose e la cementificazione degli spazi liberi rende le città invivibili (il 54% del consumo di suolo avviene all’interno delle aree urbanizzate dove le Leggi regionali non lo conteggiato come suolo consumato)
La rendita non trova più remunerazione nel costruire in aree agricole o marginali, dove capannoni vuoti e intere lottizzazioni restano invendute, quindi indirizza i capitali dove più elevata è la redditività dell’investimento.
Ma i vuoti urbani sono un elemento prezioso nel tessuto consolidato della città.
Servono alla vita sociale e collettiva, alle manifestazioni di piazza, al gioco dei bambini, al mantenimento degli ecosistemi urbani e dei corridoi ecologici.
Le analisi degli economisti, anche di sinistra, raramente mettono nella giusta evidenza il ruolo che ha la rendita urbana nell’economia del Paese, nelle crisi finanziarie, nei dissesti delle banche, nel riciclaggio del denaro sporco, che trova la sua collocazione privilegiata nelle operazioni immobiliari che la finanziarizzazione delle imprese ha favorito. Una esclusione che oscura i danni che la rendita urbana provoca alla nostra economia e all’ambiente e che non fornisce una chiave di lettura per rispondere alla domanda: “ma perché alla presenza di tanti capannoni e case vuote, si costruisce ancora?” perdendo 3 mq di suolo permeabile al minuto, danneggiando le città, il paesaggio e il clima. “La tendenza degli ultimi anni vede l’incremento significativo di un processo, guidato prevalentemente dalla rendita urbana, di progressiva densificazione e saturazione degli spazi agricoli e naturali e di tutti quei “vuoti urbani” rimasti all’interno delle città, che sono essenziali per la qualità della vita dei cittadini, dell’ambiente e del paesaggio”.(Munafò ISPRA)
La rendita va combattuta e va applicata una “tassa di scopo” sull’incremento di valore dei terreni prodotto da una variante urbanistica.
E al contrario di ciò che propongono la maggior parte delle Leggi regionali in vigore, gli oneri di urbanizzazione e i costi di costruzione devono essere maggiori nei centri urbani, perché lì le opere pubbliche, che producono un incremento del valore degli immobili, sono già state costruite con il denaro dei cittadini.
I proventi degli oneri devono essere destinati esclusivamente all’ambiente, al verde e alla manutenzione del territorio
La riconversione urbana senza consumo di suolo produce maggiori posti di lavoro e favorisce le imprese locali che non sono in grado di accedere agli appalti delle grandi opere (che creano un forte impatto ambientale. In Italia le infrastrutture a rete rappresentano il 40% del suolo consumato), le maestranze ricche di esperienza e di antichi saperi, che operano nei restauri degli immobili di pregio, nella ristrutturazione statica degli edifici (che dovrebbe cominciare dalle scuole e dai monumenti), nella loro riqualificazione energetica. Buone politiche nell’uso di fonti energetiche rinnovabili e di riconversione ecologica degli edifici attraverso pratiche innovative costituirebbe un rilancio del settore edile, quello che ha subito il più forte attacco dalla crisi e che in 8 anni ha visto la perdita del 50% dei posti lavoro,
Gli standard urbanistici previsti nel PRG, che per la sentenza della Corte Costituzionale decadono dopo 5 anni dalla loro applicazione “restano sulla carta”, mentre lo strumento della perequazione dovrebbe assicurarne la realizzazione, in modo che accanto alla Città Privata si realizzi anche la Città Pubblica. Proponiamo che con la decadenza degli standard urbanistici decadano anche le capacità edificatorie previste nei PRG, per non creare città mostro fatte solo di cemento-


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