Il consumo di suolo in Italia è al 7%, la media europea
al 4,3%, Veneto e Lombardia superano il 12%.
“L’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di
degrado del suolo in Europa, in quanto comporta un rischio accresciuto di
inondazioni, contribuisce ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità,
provoca la perdita di terreni agricoli fertili e aree naturali, contribuisce
insieme allo sprawl urbano, alla progressiva e sistematica distruzione del
paesaggio, soprattutto rurale” (Commissione Europea 2012). “Le funzioni
produttive dei suoli sono, pertanto, inevitabilmente perse, così come la loro
possibilità di assorbire CO2, di fornire supporto e sostentamento per la
componente biotica dell’ecosistema, di garantire la biodiversità e la
fruizione sociale” (rapporto ISPRA 2017).
Ogni anno in Europa è stimato che un’area pari a circa 1.000
km2, più o meno equivalente alla superficie di una città come Berlino, viene
definitivamente persa in seguito alla costruzione di nuove infrastrutture e
reti viarie (Commissione Europea, 2011).
Nella colpevole assenza di una Legge Nazionale (quella
approvata dalla Camera è un abominio che molte Regioni hanno già preso come
riferimento) la maggior parte delle Leggi Regionali favoriscono il consumo di
suolo indirizzandolo verso i centri urbani, dove l’impermeabilizzazione
del terreno crea, anche in presenza di precipitazioni meteoriche non
eccezionali, gravi danni a persone e cose e la cementificazione degli spazi
liberi rende le città invivibili (il 54% del consumo di suolo avviene
all’interno delle aree urbanizzate dove le Leggi regionali non lo conteggiato
come suolo consumato)
La rendita non trova più remunerazione nel costruire in aree
agricole o marginali, dove capannoni vuoti e intere lottizzazioni restano
invendute, quindi indirizza i capitali dove più elevata è la redditività
dell’investimento.
Ma i vuoti urbani sono un elemento prezioso nel tessuto
consolidato della città.
Servono alla vita sociale e collettiva, alle manifestazioni
di piazza, al gioco dei bambini, al mantenimento degli ecosistemi urbani e dei
corridoi ecologici.
Le analisi degli economisti, anche di sinistra, raramente
mettono nella giusta evidenza il ruolo che ha la rendita urbana nell’economia
del Paese, nelle crisi finanziarie, nei dissesti delle banche, nel riciclaggio
del denaro sporco, che trova la sua collocazione privilegiata nelle operazioni
immobiliari che la finanziarizzazione delle imprese ha favorito. Una esclusione
che oscura i danni che la rendita urbana provoca alla nostra economia e
all’ambiente e che non fornisce una chiave di lettura per rispondere alla domanda:
“ma perché alla presenza di tanti capannoni e case vuote, si costruisce
ancora?” perdendo 3 mq di suolo permeabile al minuto, danneggiando le città, il
paesaggio e il clima. “La tendenza degli ultimi anni vede l’incremento
significativo di un processo, guidato prevalentemente dalla rendita urbana, di
progressiva densificazione e saturazione degli spazi agricoli e naturali e di
tutti quei “vuoti urbani” rimasti all’interno delle città, che sono essenziali
per la qualità della vita dei cittadini, dell’ambiente e del
paesaggio”.(Munafò ISPRA)
La rendita va combattuta e va applicata una “tassa di scopo”
sull’incremento di valore dei terreni prodotto da una variante
urbanistica.
E al contrario di ciò che propongono la maggior parte delle
Leggi regionali in vigore, gli oneri di urbanizzazione e i costi di costruzione
devono essere maggiori nei centri urbani, perché lì le opere pubbliche,
che producono un incremento del valore degli immobili, sono già state costruite
con il denaro dei cittadini.
I proventi degli oneri devono essere destinati
esclusivamente all’ambiente, al verde e alla manutenzione del territorio
La riconversione urbana senza consumo di suolo produce
maggiori posti di lavoro e favorisce le imprese locali che non sono in grado di
accedere agli appalti delle grandi opere (che creano un forte impatto
ambientale. In Italia le infrastrutture a rete rappresentano il 40% del suolo
consumato), le maestranze ricche di esperienza e di antichi saperi, che operano
nei restauri degli immobili di pregio, nella ristrutturazione statica degli
edifici (che dovrebbe cominciare dalle scuole e dai monumenti), nella loro
riqualificazione energetica. Buone politiche nell’uso di fonti energetiche
rinnovabili e di riconversione ecologica degli edifici attraverso pratiche
innovative costituirebbe un rilancio del settore edile, quello che ha subito il
più forte attacco dalla crisi e che in 8 anni ha visto la perdita del 50% dei
posti lavoro,
Gli standard urbanistici previsti nel PRG, che per la
sentenza della Corte Costituzionale decadono dopo 5 anni dalla loro
applicazione “restano sulla carta”, mentre lo strumento della perequazione
dovrebbe assicurarne la realizzazione, in modo che accanto alla Città Privata si
realizzi anche la Città Pubblica. Proponiamo che con la decadenza degli
standard urbanistici decadano anche le capacità edificatorie previste nei PRG,
per non creare città mostro fatte solo di cemento-
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