Vogliamo riconnettere sinistra e società, rivolgendoci soprattutto a tutte le donne e gli uomini trascinati in basso dalla crisi, a tutte le esperienze del civismo, alle forze organizzate del mondo del lavoro, a quanti sentono il bisogno di una politica diversa per risollevarsi. Sta qui il senso del nostro progetto.
Un piccolo contributo
Abbiamo bisogno del contributo di tutti
mercoledì 31 gennaio 2018
martedì 30 gennaio 2018
Le liste di Liberi e Uguali: sinistra e civismo, rinnovamento e competenza
Siamo ormai arrivati al momento della presentazione delle
liste elettorali. Il nostro cammino è iniziato il 3 dicembre con la prima
grande assemblea nazionale: costruire un progetto forte e credibile non è
semplice, ma, con passione impegno e competenza, stiamo crescendo di giorno in
giorno. Crediamo che le nostre liste rappresentino al meglio ciò che
vogliamo essere. Abbiamo un’anima di sinistra e apriamo le porte a personalità
impegnate nel sociale, in piccole e grandi associazioni, in movimenti civici; ci
sono amministratori locali capaci e radicati sul territorio, esponenti politici
che portano la loro esperienza a servizio di questa sfida e giovani alla loro
prima esperienza. Oltre il 70% dei capilista e oltre l’80% dei candidati è
espressione del territorio. Meno del 50% dei parlamentari uscenti è stato
ricandidato. A differenza d’altri abbiamo fatto una scelta di serietà nessun
consigliere regionale, sindaco, parlamentare europeo è candidato nei collegi
plurinominali. Sono i numeri di un progetto che vuole realizzare un
profondo e duraturo cambiamento, anche nel modo di fare politica. Abbiamo
inoltre istituito una Commissione di Garanti con il compito di esaminare
ciascuna candidatura secondo criteri di trasparenza e onestà più rigorosi di
quelli previsti dalla legge e da qualunque altra forza politica.
Liberi e Uguali si presenta alle elezioni del 4 marzo con
l’ambizione di portare in Parlamento uomini e donne capaci di rappresentare
davvero i bisogni e le speranze dei cittadini, nessuno escluso. Insieme
affronteremo queste settimane che si separano dal voto, insieme realizzeremo la
nostra visione di una Italia per i molti e non per i pochi.
I Candidati per la nostra provincia sono:
Pina Muscariello al collegio Uninominale della Camera
Roberto Leggero al collegio Uninominale del Senato
venerdì 19 gennaio 2018
Per una Italia nonviolenta: proposte per politiche attive di pace e disarmo
Di fronte a quella che viene definita la “terza guerra
mondiale diffusa”, all’espansione del terrorismo internazionale, all’ondata di
profughi che scappano dai Paesi devastai, non basta più il principio
costituzionale del “ripudio della guerra”. Necessario, rispetto alla denuncia
delle missioni di guerra in cui l’Italia è ancora ingaggiata, ma non
sufficiente rispetto alla corsa agli armamenti degli ultimi quindici anni. È tempo, ormai, di cambiare le coordinate, a partire dalla conoscenza dei dati
reali, e impostare politiche attive di pace e disarmo.
Analisi dei dati
I dati reali (analizzati e diffusi dall'Osservatorio italiano sulle spese
militari italiane) ci dicono che negli ultimi 10 anni di recessione e di tagli
in tutti i comparti sociali, la spesa pubblica militare italiana è invece
aumentata del +21% con una crescita costante, che continua tuttora. Se nel 2017
la spesa militare complessiva si è attestata sulla cifra enorme di 24 miliardi
di euro, corrispondente a 64 milioni al giorno, la Legge di Bilancio per il
2018 prevede un miliardo in più (corrispondente al +4%) per giungere a 25
miliardi di euro, pari all’1,42% del PIL (più della Germania, ferma all’1,2%).
Questo significa, per esempio, che siamo l’ultimo Paese europeo per spesa
pubblica per l’istruzione, per la cultura e per numero di laureati, mentre
siamo il primo Paese per cacciabombardieri F35 acquistati, per numero di
portaerei, per tasso di incremento della spesa militare. Ed anche per numero di
testate nucleari USA in Europa.
Economia di guerra
Una parte consistente di queste risorse, pari a 3,5 miliardi sul 2018 (+5%
rispetto al 2017), proviene dal Ministero per lo Sviluppo Economico per
l’acquisizione di nuovi armamenti “made in Italy”. Cifra pari al 71% del budget
totale del MiSE per la competitività e lo sviluppo delle imprese italiane. Ciò
significa che lo sviluppo industriale italiano è centrato in larghissima parte
sull’industria bellica. Se a questo si aggiunge che Leonardo-Finmeccanica
(azienda di cui il governo italiano è azionista di maggioranza) ha
completamente dismesso la tecnologia civile a vantaggio di quella militare, che
esporta in tutto il mondo; se si aggiunge anche che le autorizzazioni
all’export bellico italiano negli ultimi due anni sono sestuplicati, passando
da 2,1 a 14,6 miliardi di euro, anche in pesante violazione della legge 185/90
sul commercio delle armi, che non consente la vendita ai regimi ed ai Paesi in
guerra (come l’Arabia saudita che scarica sullo Yemen i missili prodotti in
Sardegna), ne deriva che l’economia profonda del nostro Paese è sempre di più
fondata sul business di guerra.
Svuotare gli arsenali per colmare i granai
Dunque, se non si aggredisce il tabù dell’economia di guerra non è possibile
impostare una sostenibile economia di pace, ossia civile e sociale. Non si può
rovesciare il tavolo delle diseguaglianze se non si rovescia –
contemporaneamente – il tavolo della guerra, liberandone le risorse
imprigionate. “Svuotare gli arsenali per colmare i granai”, avrebbe detto con
una metafora efficace l’indimenticato Presidente Pertini.
giovedì 18 gennaio 2018
No all’intervento militare in Niger
Ieri, 17 gennaio, a Montecitorio Liberi e Uguali ha presentato una
risoluzione per negare l’autorizzazione alla missione militare italiana in Niger.
A Camere sciolte, il Parlamento è stato chiamato a pronunciarsi
sull’approvazione della partecipazione a missioni militari internazionali
proposte in una Delibera del Consiglio dei ministri del 27 dicembre con cui il
Governo Italiano apre a nuovi scenari di intervento per le nostre truppe.
Questo rinnovato interventismo militare è strettamente connesso al contrasto
della migrazione nella sua dimensione esterna: per le missioni in Libia e Niger
è previsto un budget, da gennaio a settembre 2018, di 65 milioni di euro su un
totale di 83 milioni per le nuove missioni. A seguire la Tunisia, altro paese
d’interesse geostrategico nello scacchiere delle migrazioni.
La missione in Libia prevede uno spiegamento di 400 uomini e 130 mezzi
terrestri, oltre a quelli aerei e navali già autorizzati nell’ambito delle
unità del dispositivo aeronavale nazionale Mare Sicuro e Ippocrate.
Per un totale di 35 milioni di euro per i prossimi 9 mesi, l’Italia propone una
missione con dichiarati obbiettivi di contrasto alla migrazione con attività di
formazione, addestramento e supporto delle autorità locali. Si continua a
finanziare la Guardia Costiera libica perché intercetti i migranti riportandoli
nell’inferno dei centri di detenzione da cui sono fuggiti. Una decisione che
non tiene conto di quanto ribadito anche dal Consiglio di Sicurezza Onu, che
già nel giugno 2017 aveva rilevato pericolosi legami tra i membri della Guardia
Costiera Libica e le milizie che gestiscono le partenze sulla pelle dei
migranti. La missione in Niger, in cui sono previsti 470 uomini, 130 mezzi
terrestri e 2 aeromobili – per un budget totale di 30 milioni in 9 mesi, 50 in
un anno – alla frontiera tra Niger e Libia sovrappone gli obbiettivi di
contrasto alla migrazione a quelli di lotta al terrorismo.
Alle nostre forze spetterebbe il controllo della frontiera Nord del paese con
una funzione di deterrenza al transito dei migranti: non si ridurrebbe quindi
il numero dei migranti verso la Libia, ma, obbligandoli a uscire dai sentieri
battuti, si aumenterebbe il rischio d’incidente e di morti. La presenza
militare italiana contribuirà a trasformare il deserto del Teneré nell’ennesimo
cimitero a cielo aperto alle nostre frontiere.
Infine la Tunisia in un fantomatico quadro d’intervento Nato, con cui sembra
non esserci stata nessuna discussione: l’interesse di inviare 60 uomini è
legata alle partenze dei barconi e al recente aumento di arrivi, con relative
espulsioni sistematiche.
Un aumento delle spese militari giustificato quindi dalla necessità di
prevedere le missioni di esternalizzazione del controllo delle frontiere, in
Niger e Libia che si traduce nel contrasto della migrazione nel deserto e in
mare.
Hanno archiviato in fretta la legislatura per impedire l’approvazione dello ius
soli e invece poi sono andati di corsa, anche a Camere sciolte, per approvare
l’aumento della presenza militare per contrastare immigrazione.
Noi a tutto questo abbiamo detto no, ci siamo opposti con una nostra
risoluzione all’interventismo militare contro i migranti, per affermare le
ragioni della cooperazione e della pace e scongiurare una missione militare che
dietro la retorica del contrasto all’immigrazione nasconde interessi
neocoloniali che rischiano di trascinare l’Italia in una nuova stagione di
conflitti nello scacchiere africano.
martedì 16 gennaio 2018
Il lavoro al centro del nostro programma
Sono infatti aumentate le distanze fra i redditi più alti e quelli più bassi, e
addirittura esplose quelle tra i più ricchi e i più poveri.
Questo è lo scandalo a cui porre rimedio, oltre che una delle cause principali
di una crescita debole e disomogenea.
La forte concentrazione della ricchezza in poche mani alimenta la rendita e
riduce gli investimenti pubblici e privati, con conseguenze negative su
produttività e qualità delle infrastrutture.
La via maestra per la redistribuzione della ricchezza è quella della piena e
buona occupazione, da garantire attraverso un piano straordinario per il
lavoro e gli investimenti, che inverta radicalmente una politica economica
fondata su bonus e sconti fiscali.
Proponiamo un Green New Deal, un piano coordinato di interventi che apra la
strada alla riconversione ecologica dell’economia e insieme garantisca un forte
saldo attivo sul piano occupazionale.
I settori prioritari su cui articolare questo piano sono: messa in
sicurezza del territorio, delle scuole, degli ospedali, degli edifici pubblici
e delle abitazioni; energie alternative, risorse idriche, istruzione, sanità,
trasporto pubblico, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ricerca. Sono
tutti investimenti ad alto moltiplicatore, cioè in grado di generare una
crescita economica, e quindi una occupazione, molto più elevata rispetto agli
sgravi fiscali o ai trasferimenti monetari.
Crediamo sia inoltre indispensabile tornare ad investire
sul lavoro pubblico, con lo sblocco del turnover nella pubblica amministrazione,
a partire dai comparti di sanità, scuola, università, servizi sociali e
sicurezza, e dalla stabilizzazione di situazioni di precarietà ormai croniche.
Bisogna assumere personale giovane e con le competenze di cui la Pubblica
Amministrazione oggi è più carente.
L’obiettivo della piena occupazione deve congiungersi con quello della dignità
e dei diritti del lavoro.
Da troppi anni il ricatto della precarietà ha eroso la
civiltà del lavoro, indebolendo il sindacato e portando i salari a livelli
tanto bassi da essere nocivi per la stessa crescita dell’economia.
È quindi necessario intervenire con decisione, superando il Jobs Act e
tutte le forme contrattuali che alimentano il peggiore sfruttamento.
La nostra proposta è tornare a considerare il contratto
a tempo indeterminato a piene tutele, con il ripristino dell’art.18 (che
oggi continua a valere solo per gli assunti prima del Jobs Act e per i
dipendenti prubblici), come la forma normale di assunzione.
Ad esso possono affiancarsi il contratto a tempo determinato e il lavoro in
somministrazione, esclusivamente con il ripristino della causale, che
giustifichi la necessità di un’assunzione a scadenza.
Va superata, di conseguenza, la giungla di forme
contrattuali precarie introdotte nell’ultimo ventennio, che decreto Poletti e
Jobs act hanno contribuito a rafforzare.
Occorre invece disciplinare, nell’ottica di tutela del
lavoratore, le nuove forme di lavoro, come quelle con le piattaforme, per le
quali manca un inquadramento giuridico certo, perché stanno potenzialmente a
cavallo fra il lavoro subordinato e quello autonomo.
Va comunque affermato il principio per cui nessuna forma di prestazione
può essere svolta in modo gratuito o sottopagata rispetto a quanto previsto dai
contratti nazionali.
Proponiamo inoltre di:
contrastare la diffusione di falsi contratti part-time, che
dissimulano impieghi effettivamente a tempo pieno;
elevare il costo orario degli straordinari;
riformare la normativa sull’assegnazione degli appalti, per
impedire la possibilità di competere sul costo del lavoro, prevedendo la parità
del trattamento economico e normativo tra lavoratori occupati dall’appaltante e
lavoratori occupati dall’appaltatore;
contrastare le cooperative spurie e, in generale, le false
imprese utilizzate per finte esternalizzazioni di manodopera al fine di
aggirare norme contrattuali e mettere in atto evasioni fiscali e contributive;
garantire sempre la piena responsabilità solidale del
committente, relativamente a salari e contributi e la clausola sociale in ogni
evenienza di cambio d’appalto;
rafforzare strumenti e risorse dell’ispettorato del lavoro;
approvare una legge sulla democrazia sindacale, che assicuri
valore solo ai contratti firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi e
approvati dai lavoratori e dalle lavoratrici.
Vogliamo porre un’attenzione prioritaria al tema
dell’occupazione femminile e delle sue condizioni.
Il divario fra le opportunità e i livelli salariali di uomini e donne è infatti
troppo vasto per essere accettato e incide negativamente sulla performance
complessiva del paese. Si può iniziare a contrastare il gap salariale
introducendo una normativa che obblighi alla trasparenza (tutelando i dati
sensibili) delle differenze salariali tra generi e che escluda dagli appalti
pubblici quelle aziende che non la rispettano.
Proponiamo inoltre:
- lo sviluppo della conciliazione tra lavoro e vita familiare, con misure strutturali di sostegno alla genitorialità che superino i vari bonus previsti attualmente;
- un piano straordinario di investimenti per estendere a tutto il territorio nazionale la possibilità di accedere ad asili nido;
- l’incentivo a forme di lavoro caratterizzate da flessibilità di orario (es. banche del tempo) e luogo (lavoro a distanza, smart work) sia per le madri che per i padri;
- l’estensione dei congedi: con aumento della durata del congedo paterno obbligatorio e una maggiore copertura economica del congedo parentale, per evitare che, nel dover scegliere a quale salario rinunciare, le coppie siano costrette a optare per quello femminile, spesso inferiore a quello maschile;
- misure a favore dell’imprenditoria femminile;
- interventi in materia pensionistica con la proroga di “Opzione donna” oltre il 2018.
Una nuova attenzione va dedicata al lavoro autonomo e
professionale, per introdurre tutele reali che invertano il processo di
impoverimento di massa che lo ha accompagnato negli anni della crisi.
Proponiamo:
- la predisposizione di schemi contrattuali con i clienti committenti;
- un sistema sanzionatorio che scoraggi il ricorso a clausole e condotte abusive
- un equo compenso generalizzato e proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto
- un codice di condotta che regoli i rapporti tra committenti e lavoratori autonomi
- la previsione di tutele in caso di maternità, inattività, cessazione temporanea, invalidità o infortunio, anche attraverso l’incentivazione a forme volontarie di mutualismo fra lavoratori autonomi.
Da troppi anni le lavoratrici e i lavoratori italiani
sentono di non avere alcuna difesa contro gli effetti peggiori della
globalizzazione.
È il momento di proteggerli e per questo proponiamo:
- l’applicazione a tutti i lavoratori e le lavoratrici che operano sul territorio nazionale del CCNL appropriato, senza alcuna possibilità di deroga;
- impegno a livello europeo per la correzione della direttiva Bolkenstein e di quella sui servizi professionali, per garantire che attività come i call center debbano essere svolte nel paese dove opera l’impresa committente;
- sanzioni per le imprese che delocalizzano gli impianti avendo ottenuto agevolazioni, detassazioni e contributi pubblici, a partire dalla integrale restituzione di ogni singolo euro ricevuto;
- iniziativa a livello europeo per introdurre dazi nei confronti delle imprese extra-UE che non rispettino standard adeguati per la tutela del lavoro, dell’ambiente e della sicurezza alimentare;
- la messa in discussione degli accordi internazionali CETA e TTIP, che antepongono la finalità del libero scambio alla tutela dei consumatori e dei diritti dei lavoratori, fino ad attribuire alle multinazionali la possibilità di citare in giudizio i poteri legislativi pubblici davanti ad arbitrati privati.
Crediamo inoltre che si debba introdurre un limite alla
disparità fra salari e stipendi medi dei lavoratori e compensi dei manager.
Questo è stato fatto in parte nel settore pubblico, ma va esteso al settore
privato, con particolare attenzione al segmento finanziario, come da previsione
comunitaria.
In particolare si deve prevedere la non deducibilità delle retribuzioni in
eccesso e l’esclusione dalle gare pubbliche e dalle concessioni per le imprese
che non rispettino gli standard.
Vogliamo inoltre che i premi dei dirigenti siano ancorati a obiettivi di lungo
periodo e comunque siano ricompresi all’interno dei limiti complessivi.
In un’epoca segnata da grandi progressi sul piano
dell’automazione e della robotizzazione riteniamo ineludibile il tema
della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
I benefici derivanti dalla maggiore produttività devono essere un patrimonio
collettivo e non un extraprofitto per le imprese.
Prevediamo un sistema di incentivi per le imprese che aumentino il numero di
occupati riducendo il numero delle ore per addetto.
Tutto ciò deve avvenire riaprendo il metodo virtuoso del
confronto autentico con le parti sociali, riconoscendo il ruolo dei sindacati,
anche attraverso una legge sulla rappresentanza, e dialogando con le forme
civiche di autogoverno, le reti del volontariato e i movimenti dei consumatori.
Non si governa un paese moderno senza ascolto e dialogo. Se non si pratica
un’intermediazione pubblica e trasparente, si finisce col praticarne una opaca
e privata. Esattamente quello che è accaduto in questi anni.
domenica 14 gennaio 2018
Il lavoro. Quello buono
Il ricatto della precarietà ha minato dalle fondamenta
un’idea di società in cui ciascun individuo possa sentirsi realizzato,
esponendo i lavoratori a un mercato sempre più feroce e portando i salari a
livelli tanto bassi da essere nocivi per la stessa crescita dell’economia.
Dobbiamo cancellare il Jobs Act e la giungla di forme contrattuali precarie che
alimentano il peggiore sfruttamento, introducendo come forma prevalente il
contratto a tempo indeterminato, che preveda tutele crescenti articolate in tre
diverse fasi del percorso di formazione e stabilizzazione del lavoratore. Un
periodo di prova, della durata massima 8 di tre mesi, un periodo di allineamento
professionale e infine, entro tre anni dall'attivazione, la fase di
stabilizzazione a seguito della quale il recesso potrà avvenire solo in caso di
giusta causa e giustificato motivo, con l’applicazione delle tutele piene in
caso di licenziamento illegittimo. Ogni forma contrattuale precaria residuale
deve essere più costosa per l’impresa rispetto al lavoro stabile. Tutto ciò
consente anche la reintroduzione delle tutele eliminate dal Jobs Act. Tutto
questo, però, non fermerà la quarta rivoluzione industriale dove le
intelligenze artificiali spazzeranno via interi settori professionali.
Conoscere e capire le nuove frontiere e le potenzialità dell’information
technology servirà a gestire questo passaggio epocale e trasformare molte delle
minacce in nuove opportunità. Ma soprattutto vogliamo creare nuovo lavoro,
impegnandoci a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese
mercoledì 10 gennaio 2018
Città accessibili a tutti (Idee per un programma condiviso)
In Italia quasi il 70% degli spostamenti utilizzano
l’automobile a fronte del 60% della media europea. Gli investimenti pubblici nel settore trasportistico devono
essere indirizzati a finanziare prioritariamente la manutenzione della rete
ferroviaria esistente e ad incrementare il trasporto pubblico, per rendere ogni
luogo più accessibile a tutti. Perché l’accessibilità alla città riduce le
diseguaglianze che colpiscono particolarmente coloro che si trovano in
condizioni di disabilità, non solo motoria. Quindi una città costruita per
tutti i tipi di utenti, compresi gli anziani che non guidano più la macchina e
le donne, che con carrozzine e borse della spesa non possono facilmente
accedere al mezzo di trasporto pubblico, rivoluziona il modello della città
contemporanea. Dobbiamo costruire una nuova cultura urbana che produca un
modello alternativo di città: democratica e antagonista nella forma e nella
fruizione dei suoi spazi, che sostituisca i parametri stereometrici con nuovi
indicatori ecologici e sociali, dove le funzioni primarie dell’abitare si
trovino in un contesto di prossimità, che riduca le barriere, costruisca
percorsi pedonali e ciclabili “dando a ciascuno il suo passo”.
domenica 7 gennaio 2018
CRITERI DELLE CANDIDATURE
Dobbiamo portare in Parlamento
le donne e gli uomini migliori. Per questo vogliamo darci dei criteri e
continuare quel percorso democratico che ha già preso vita sui territori.
Ai fini della più ampia partecipazione e del rinnovamento
della politica, Liberi e Uguali nei giorni 8 e 9 gennaio organizza assemblee
aperte ai cittadini per la selezione delle candidature al Parlamento nazionale
per le elezioni politiche del 2018. Le assemblee saranno presiedute da un rappresentante
per ciascun movimento fondatore e da un rappresentante del coordinamento
organizzativo nazionale. Sarà compito della presidenza assicurare un regolare
svolgimento dell’assemblea; compito del rappresentante, insieme alla
presidenza, trasmettere le rose nominative di candidature senza indicazioni di
graduatoria.
Le rose dovranno ispirarsi ai criteri generali per la
formazione delle liste di Liberi e Uguali:
a. essere aperte, rappresentative dell’articolazione sociale
e culturale del Paese;
b. promuovere nell’equilibrio di genere le competenze di
donne e di uomini;
c. garantire il pluralismo politico e culturale che anima la
formazione di LeU;
d. valorizzare il ruolo dei territori nel rispetto del carattere
nazionale di LeU;
Possono essere inseriti nelle rose di candidatura le
cittadine e i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilitá previsti
dalla legge e che si dichiarino elettrici e elettori di Liberi e Uguali.
Non possono essere candidati:
a. coloro che ricoprono incarichi elettivi incompatibili col
mandato parlamentare, salvo limitate e motivate eccezioni;
b. coloro che hanno ricoperto la carica di parlamentare
nazionale per la durata di due legislature complete, salvo un numero limitato e
motivato di deroghe;
Non possono essere candidati ad ogni tipo di elezione coloro
nei cui confronti, al momento della selezione delle candidature e fino all’accettazione
della stessa, sia stato emesso:
- per reati di mafia, terrorismo, criminalità organizzata,
contro la libertà personale e individuale:
a. decreto che dispone il giudizio;
b. misura cautelare personale confermata in sede di impugnazione;
c. misure di prevenzione personali o patrimoniali, ancorché
non definitive, previste dal Codice antimafia;
d. sentenza di condanna, ancorché non definitiva, o di applicazione
della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 C.P.P.
- per delitti per cui sia previsto l’arresto obbligatorio in
flagranza; delitti contro l’incolumità pubblica Capo I e II; delitti contro
l’ambiente; delitti contro la libertà sessuale; peculato, concussione,
corruzione in tutte le forme previste:
a. sentenza di condanna, ancorché non definitiva, o di applicazione
della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 C.P.P.
Le condizioni ostative alla candidatura vengono meno in caso
di sentenza di proscioglimento o di intervenuta riabilitazione. Ove tali
condizioni dovessero sopravvenire, gli eletti si impegnano a rassegnare le
dimissioni.
Verrà istituito un Comitato di Garanzia che valuterà gli
elementi di cui sopra e si esprimerà sui casi controversi e non previsti dai
precedenti commi, per valutare, sulla base di fatti, circostanze e
comportamenti, l’ammissione della candidatura nelle liste di Liberi e Uguali.
All’atto della presentazione della documentazione per la
candidatura si dovrà sottoscrivere un’autocertificazione sulla propria
posizione rispetto ad eventuali precedenti o pendenze penali, per la
valutazione del Comitato sulla gravità o tenuità del fatto e del danno.
Nel comporre le liste, per perseguire quanto previsto nel
primo capoverso, si metteranno in atto un numero limitato di pluricandidature.
Le liste saranno approvate dalla presidenza dell’assemblea
entro il 22 gennaio, tenendo conto delle rose di candidature emerse dalle
assemblee regionali di Liberi e Uguali.
sabato 6 gennaio 2018
La rivoluzione ambientale (Idee per un programma condiviso)
Il costo economico del consumo di suolo in Italia è compreso
fra i 600 e i 900 milioni di € l’anno e la diminuita produzione agricola incide
per il 40%. Ininterrottamente, dal dopoguerra ad oggi, l’urbanizzazione
ha invaso la campagna. Vogliamo invertire questo processo speculativo e la
campagna deve invadere le città penetrando con orti, boschi, giardini,
spazi coltivati nelle aree rimaste libere nei centri urbanizzati. La rivoluzione ambientale si fonda sul passaggio dall’economia
lineare a quella circolare che punta alla scomparsa del concetto stesso di
“rifiuto”, alla riduzione dei consumi energetici e delle risorse non
rinnovabili, alla conversione verso la totale decarbonizzazione, investendo
in programmi di efficientamento energetico, energie rinnovabili, smettendo di
finanziare (con 16 miliardi all’anno) chi produce effetti dannosi per
l’ambiente. Costruire democrazia energetica vuol dire passare alle fonti
rinnovabili ma, soprattutto, operare una concorrenza diffusa ai grandi player:
i cittadini e le comunità devono riappropriarsi di un settore strategico come
quello energetico.
venerdì 5 gennaio 2018
La Riconversione ecologica è la vera sfida per le Città (Idee per un programma condiviso)
Il problema strategico dei cambiamenti climatici che sta diventando
irreversibile è causato da un modello antropocentrico che ha guidato scelte economiche
miopi senza curarsi delle catastrofi da queste prodotte
In Italia ogni anno le morti causate dall’inquinamento atmosferico
sono 91mila, più che in ogni altro paese d’Europa.
Basta qualche domenica senza macchine? Oppure occorrono interventi
strutturali che attraverso la revisione degli strumenti urbanistici propongano una
nuova visione di città, che respinga la mercificazione del Bene Suolo e della sua
impermeabilizzazione, che danneggia la salute, favorisce le mutazioni climatiche
e le isole di calore e crea una città asocializzata.
L’urbanistica è una disciplina che deve diventare di utilità
sociale. Ora non lo è. E’ ancora come sempre al servizio della rendita urbana che
guida i processi di trasformazione e le scelte di pianificazione usando lo scudo
di termini devianti come i “diritti edificatori” e limiti (infondati) alla possibilità
di ridurre l’edificabilità dei suoli.
Negli strumenti urbanistici le capacità edificatorie sono spesso
sovradimensionate rispetto alla crescita (o meglio decrescita) della popolazione,
Pertanto solo attraverso varianti urbanistiche che riducano le capacità edificatorie
dei Piani, è possibile limitare il Consumo di suolo che i PRG in vigore legittimamente
consentono; così da assicurare la permeabilità dei terreni e l’incremento delle
aree verdi boscate che riducono l’inquinamento atmosferico e aumentano la resilienza.
Le nuove disposizioni normative dovranno dirlo a chiare lettere
per sciogliere comodi equivoci.
mercoledì 3 gennaio 2018
Fermare il consumo del suolo, tassare la rendita (Idee per un programma condiviso)
Il consumo di suolo in Italia è al 7%, la media europea
al 4,3%, Veneto e Lombardia superano il 12%.
“L’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di
degrado del suolo in Europa, in quanto comporta un rischio accresciuto di
inondazioni, contribuisce ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità,
provoca la perdita di terreni agricoli fertili e aree naturali, contribuisce
insieme allo sprawl urbano, alla progressiva e sistematica distruzione del
paesaggio, soprattutto rurale” (Commissione Europea 2012). “Le funzioni
produttive dei suoli sono, pertanto, inevitabilmente perse, così come la loro
possibilità di assorbire CO2, di fornire supporto e sostentamento per la
componente biotica dell’ecosistema, di garantire la biodiversità e la
fruizione sociale” (rapporto ISPRA 2017).
Ogni anno in Europa è stimato che un’area pari a circa 1.000
km2, più o meno equivalente alla superficie di una città come Berlino, viene
definitivamente persa in seguito alla costruzione di nuove infrastrutture e
reti viarie (Commissione Europea, 2011).
Nella colpevole assenza di una Legge Nazionale (quella
approvata dalla Camera è un abominio che molte Regioni hanno già preso come
riferimento) la maggior parte delle Leggi Regionali favoriscono il consumo di
suolo indirizzandolo verso i centri urbani, dove l’impermeabilizzazione
del terreno crea, anche in presenza di precipitazioni meteoriche non
eccezionali, gravi danni a persone e cose e la cementificazione degli spazi
liberi rende le città invivibili (il 54% del consumo di suolo avviene
all’interno delle aree urbanizzate dove le Leggi regionali non lo conteggiato
come suolo consumato)
La rendita non trova più remunerazione nel costruire in aree
agricole o marginali, dove capannoni vuoti e intere lottizzazioni restano
invendute, quindi indirizza i capitali dove più elevata è la redditività
dell’investimento.
Ma i vuoti urbani sono un elemento prezioso nel tessuto
consolidato della città.
Servono alla vita sociale e collettiva, alle manifestazioni
di piazza, al gioco dei bambini, al mantenimento degli ecosistemi urbani e dei
corridoi ecologici.
Le analisi degli economisti, anche di sinistra, raramente
mettono nella giusta evidenza il ruolo che ha la rendita urbana nell’economia
del Paese, nelle crisi finanziarie, nei dissesti delle banche, nel riciclaggio
del denaro sporco, che trova la sua collocazione privilegiata nelle operazioni
immobiliari che la finanziarizzazione delle imprese ha favorito. Una esclusione
che oscura i danni che la rendita urbana provoca alla nostra economia e
all’ambiente e che non fornisce una chiave di lettura per rispondere alla domanda:
“ma perché alla presenza di tanti capannoni e case vuote, si costruisce
ancora?” perdendo 3 mq di suolo permeabile al minuto, danneggiando le città, il
paesaggio e il clima. “La tendenza degli ultimi anni vede l’incremento
significativo di un processo, guidato prevalentemente dalla rendita urbana, di
progressiva densificazione e saturazione degli spazi agricoli e naturali e di
tutti quei “vuoti urbani” rimasti all’interno delle città, che sono essenziali
per la qualità della vita dei cittadini, dell’ambiente e del
paesaggio”.(Munafò ISPRA)
La rendita va combattuta e va applicata una “tassa di scopo”
sull’incremento di valore dei terreni prodotto da una variante
urbanistica.
E al contrario di ciò che propongono la maggior parte delle
Leggi regionali in vigore, gli oneri di urbanizzazione e i costi di costruzione
devono essere maggiori nei centri urbani, perché lì le opere pubbliche,
che producono un incremento del valore degli immobili, sono già state costruite
con il denaro dei cittadini.
I proventi degli oneri devono essere destinati
esclusivamente all’ambiente, al verde e alla manutenzione del territorio
La riconversione urbana senza consumo di suolo produce
maggiori posti di lavoro e favorisce le imprese locali che non sono in grado di
accedere agli appalti delle grandi opere (che creano un forte impatto
ambientale. In Italia le infrastrutture a rete rappresentano il 40% del suolo
consumato), le maestranze ricche di esperienza e di antichi saperi, che operano
nei restauri degli immobili di pregio, nella ristrutturazione statica degli
edifici (che dovrebbe cominciare dalle scuole e dai monumenti), nella loro
riqualificazione energetica. Buone politiche nell’uso di fonti energetiche
rinnovabili e di riconversione ecologica degli edifici attraverso pratiche
innovative costituirebbe un rilancio del settore edile, quello che ha subito il
più forte attacco dalla crisi e che in 8 anni ha visto la perdita del 50% dei
posti lavoro,
Gli standard urbanistici previsti nel PRG, che per la
sentenza della Corte Costituzionale decadono dopo 5 anni dalla loro
applicazione “restano sulla carta”, mentre lo strumento della perequazione
dovrebbe assicurarne la realizzazione, in modo che accanto alla Città Privata si
realizzi anche la Città Pubblica. Proponiamo che con la decadenza degli
standard urbanistici decadano anche le capacità edificatorie previste nei PRG,
per non creare città mostro fatte solo di cemento-
martedì 2 gennaio 2018
II territorio è un Bene Comune e come tale appartiene alla collettività (Idee per un programma condiviso)
La vendita del patrimonio pubblico di valore paesaggistico, monumentale
e documentale che ci è stato lasciato in eredità dalla natura e dall'uomo, di cui
dobbiamo prenderci cura per poterlo trasferire a chi verrà dopo di noi, è un furto
alla collettività, così come la privatizzazione dell’acqua e altri Beni Comuni.
La cura del territorio e la prevenzione dai rischi, è l’opera
pubblica prioritaria per il Paese
Preservare le grandi ricchezze italiane, il paesaggio, le bellezze
naturali e quelle costruite dall'uomo in secoli di storia è un dovere culturale
e politico. Oggi 33.000 ettari di suolo consumato ricadono all'interno delle aree
protette. Difendere dai rischi sismici e idrogeologici e dall'incuria, il nostro
inestimabile patrimonio storico artistico, fatto di singoli monumenti e di borghi
antichi, rappresenta il più grande e produttivo investimento che può fare l’Italia.
Ma per preservarlo occorre un incremento delle risorse finanziarie
necessarie per attivare una programmazione finalizzata alla conoscenza, alla messa
in sicurezza e al restauro del patrimonio culturale, una maggiore e incisiva presenza
sul territorio degli organi di tutela in grado di operare con intervento diretto
nella tutela e nel restauro.
Ma con la “riforma Madia” le Soprintendenze vengono depotenziate
e messe funzionalmente alle dipendenze del Prefetto. Con questa scelta insieme alla
riforma del Ministero dei beni culturali nell'ottica della “valorizzazione” staccata
dalla “tutela”si accorpano le già deboli soprintendenze (archeologia con belle arti
con paesaggio) depotenziandone di fatto l’autonomia culturale e l’indipendenza.
Anche le conferenze dei servizi, necessarie per istruire progetti complessi, vengono
riformate: ora le decisioni vengono prese a maggioranza. Il parere della Soprintendenza
può quindi essere ignorato mentre prima era obbligatorio e vincolante .
Contro la “disarticolazione delle istituzioni di tutela” proponiamo:
- l’abolizione della “legge Madia” per le parti riguardanti soprintendenze e conferenze dei servizi,
- l’abolizione della riforma del MIBACT in cui si accorpano le sovrintendenze e si rafforza la pericolosa separazione tra tutela (quasi annullata) e valorizzazione (trasformata in mercificazione)
Il pensiero neoliberista che ha contaminato la cultura anche
di sinistra, ha ridotto le città ad una merce e le risorse naturali e paesaggistiche
terreno di conquista della speculazione edilizia. Non a caso la crisi mondiale che ci attanaglia è nata proprio
con lo scoppio della bolla immobiliare, troppo rapidamente e volutamente rimossa
perché la sua analisi imporrebbe una revisione del modello di sviluppo che ha affidato
alla rendita e non alla ricerca e all’innovazione, ingenti capitali con la complicità
delle banche che ancora guidano e sostengono operazioni immobiliari senza futuro
ma che servono a giustificare i loro bilanci. (nel I trimestre del 2016, sul totale
dei finanziamenti concessi dalle banche e non rimborsati dalle imprese, oltre il 40% è legato alle imprese/immobiliari
che pesano per oltre il 27% sui crediti deteriorati)
lunedì 1 gennaio 2018
La buona urbanistica può ridurre le diseguaglianze costruendo città più eque e solidali (Idee per un programma condiviso)
Una buona urbanistica può ridurre le diseguaglianze
costruendo città più eque e solidali. Concorrono a realizzare questo obiettivo: il coinvolgimento
dei cittadini nelle scelte urbanistiche, un trasporto pubblico efficiente che
renda ogni luogo della città accessibile a tutti, il verde urbano che abbatte
l’inquinamento e le malattie polmonari che colpiscono prevalentemente i
bambini, il risanamento dei quartieri degradati che si realizza attraverso
l’offerta di servizi che concorrono ad una più equa redistribuzione del
reddito, la presenza di spazi pubblici che attiva la convivenza, la socialità,
rafforza la democrazia urbana, gli alloggi in locazione a prezzi adeguati al
reddito che sono in grado di far uscire dalla condizione di povertà milioni di
famiglie, l’inserimento dell’ERP fra gli standard urbanistici obbligatori, il
divieto di vendita dell’esiguo patrimonio spesso inutilizzato finché non
vengano soddisfatte le domande degli aventi diritto ad un alloggio di edilizia
residenziale pubblica e quello di migliaia di famiglie colpite dal dramma del
procedimento di sfratto per morosità incolpevole in continuo aumento a causa
dell’estensione della povertà e della disoccupazione
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